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BLUESET

Piera Principe: performance
 
Regia di Piera Rossi
 
foto di © Emanuele Pensavalle
 
 
“Io che contemplo l’azzurro del cielo, non sono di fronte a questo azzurro, un soggetto acosmico, non lo possiedo nel pensiero, non dispiego innanzi a esso un’idea dell’azzurro che me ne scioglierebbe il segreto, ma mi abbandono a esso, mi immergo in questo mistero, 'esso si pensa in me', io sono il cielo stesso che si riunisce, si raccoglie e si mette a esistere per sé, la mia coscienza è satura di quest’azzurro illimitato”.
 
MAURICE MERLEAU-PONTY, Phénomenologie de la perception
 
 
Blueset è l’offerta di un modo diverso di guardare il corpo per percepirne lo spazio necessario, facendone vibrare la contromarca vuota, la chora che cavita come liquido in gorghi invisibili, attorno ai tendini del polso, al dispiegarsi delle dita, allo sciabordare del bacino.
È un corpo che si offre a rivelare la vibrazione del suo intorno, come in quei legni di Dürer, dove la foresta e i cieli fremono al passo dell’angelo e all’onda dei suoi capelli.
È una danza all’interno di un cubo, immaginario su cinque lati e trasparente sul fronte, nel quale il corpo fa ritorno, quasi una piccola patria, e da quella cella guarda fuori, addita le cose intorno, sculture, rovine, lacerti d’archeologia, quadri, oggetti esposti a loro volta in spazi d’arte, gallerie e musei.
È un corpo che si muove inscritto nel suo spazio e in ciò che sta attorno, è un corpo che si spoglia, si tinge, si solca, si stria di terre e colori, di un blu così profondo da tracimare in rosso, a sovrascrivere l’estesa tela della pelle in un’action painting riflessiva, esposta allo scatto fotografico, a fermare il movimento per costruire immagini che si sovrappongono ad altre immagini, a strati, gli uni sugli altri.
L’opera è in questa danza, nella centralità fragile del corpo, nell’apertura alle trame colorate che istituisce usando la tela della pelle, tesa nello spazio tra le altre opere e la visione della reflex che ne fisserà un fotogramma, a partire dal quale ricostruire la torsione dei muscoli, lo sgranarsi delle vertebre nell’arco della schiena, la tensione delle dita irrorate da vene in pulsazione, nelle vaste geografie delle pelle e dei suoi colori che ci vengono incontro, per guidare lo sguardo all’interno delle cose, come un viatico oltre alle superfici, giacché come diceva Valéry, “ciò che vi è di più profondo nell’uomo è la pelle”.
 
Luca Dal Pozzolo
 
 
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